I fiori sanno ridere, i fiori sanno sorridere, i fiori sanno anche assumere un’aria triste, giungendo persino alla disperazione – ma nessun fiore sa piangere. La natura è totalmente stoica; per questo ci offre il più sublime esempio di coraggio ed è la nostra maggiore consolatrice. (Malcolm de Chazal)
Le cose non cambiano se non cambi il modo di guardarle, ma come si fa a vedere qualcosa in modo oggettivo quando bisogna fare i conti con un dolore assordante, che ti toglie le parole ed il respiro? Ammettiamolo: non è facile. Eppure, se si guarda poco più in là, il mondo offre un sacco di spunti e nuove prospettive, anche in un giorno così delicato come la giornata per ricordare chi non c’è più. Ma se in Italia, e zone limitrofe, siamo abituati a dedicare una giornata intera alla preghiera e al dolore, cosa succede nel resto del mondo?
In Oriente, ad esempio, si può notare qualche similitudine con le nostre usanze ma la ricorrenza cade il 15 luglio in tutto l’est del Giappone, mentre nel settentrione cade al 15° giorno di agosto, in concomitanza con il periodo di ferie in quasi tutto il mondo, riunendo le persone nei luoghi natii e allestendo altari per i cari in occasione dell’Obon, festa dedicata ai cari scomparsi con oltre 500 anni di storia alle spalle e che dura circa 3 giorni. Ad oggi, la tradizione, ha subito diverse variazioni, ma è rimasto un pilastro fondamentale di questa festività l’odore di incenso Senk che impregna case, vie e cimiteri; il primo passo è proprio quello di pulire le case e predisporre una varietà di prodotti alimentari come frutta e verdura agli spiriti dei loro antenati di fronte a un altare ma il vero punto forte di questa ricorrenza sono le lanterne, addobbate con fiori di Chochin e che vengono collocate sull’altare come ulteriore dono.
Il primo giorno di Obon, le lanterne di carta sono illuminate all’interno delle case e le persone le portano nelle tombe della loro famiglia per richiamare gli spiriti degli antenati nei loro luoghi di origine. Al termine dei festeggiamenti, nell’ultimo giorno della ricorrenza, le famiglie guidano gli spiriti dei loro antenati nella tomba, appendendo le lanterne dipinte a mano con lo stemma di famiglia per guidare gli spiriti al loro eterno luogo di riposo. Un’altra meravigliosa tradizione legata alle lanterne, riguarda le lanterne galleggianti, conosciute come Toro Nagashi che all’interno contengono una candela che andrà ad esaurirsi inesorabilmente creando un flebile percorso illuminato che sfocerà direttamente nell’Oceano. Con questa usanza, i membri della famiglia, possono magicamente (e simbolicamente) creare un percorso di andata e ritorno per i loro cari, che troveranno subito la strada di casa e non potranno perdersi. Di nuovo. Ma di giorno, il sapore mistico e occulto, si può ammirare nelle distese ipnotiche di fiori di Manjushage, noto anche come Giglio Ragno Rosso, che sboccia nell’equinozio d’autunno, ma anche nei mesi estivi, tingendo di un rosso travolgente soprattutto le zone limitrofe alle tombe degli antenati, sfoggiando con eleganza e delicatezza tutto il suo splendore e il sapore mistico che da sempre accompagna questo fiore.
Viaggiando all’altro capo del mondo, soprattutto in America Latina, si trova persiste la voglia di omaggiare i propri cari con uno spirito “allegro e festoso” nei Dia De Los Muertos, celebrati dall’1 al 2. Anche qui, come in Asia, è tradizione allestire un altare per commemorare le persone scomparse, l’Ofrenda, che viene predisposto non solo nelle case private e nei cimiteri, ma anche nelle piazze. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non si tratta di altari per l’adorazione, ma rappresentano il portale tra la vita e la morte, che si tinge dell’arancione e del profumo inebriante di Cempasuchil che formano una vera e propria strada magica verso casa, che verrà poi percorsa dai propri cari insieme, mano nella mano. In alcuni villaggi, i petali vengono cosparsi dal luogo di sepoltura fino a casa, mentre in altre comunità, è consuetudine trascorrere l’intera notte nel cimitero, ma non è vissuto come un’occasione triste, piuttosto come una festa: si cena, si suona musica, si parla e si beve tutta la notte davanti alle Ofrende, che hanno lo scopo di accogliere gli spiriti nel regno dei vivi con acqua per dissetarsi dopo il lungo viaggio, cibo, foto di famiglia e una candela per ogni parente scomparso. E’ chiaro quindi che, soprattutto in Messico e nell’America del Sud, questi giorni non sono dedicati al dolore e a ricordare solo il lato negativo della perdita, ma si concentra con ogni sforzo inenarrabile a omaggiare in assoluta allegria il ritorno sulla terra dei vivi dei defunti e questo approccio riesce a far sembrare così luminoso e allegro anche un momento così buio, triste e persino spaventoso, come invece è usanza vivere dall’altra parte dell’America con la festa di Halloween, serata dedicata ai bambini ma che trova origini in una festa di origine Celtica che rivedeva nel 31 ottobre un potente e magico momento di transizione, non solo per le stagioni: in questa notte, infatti, si credeva che le barriere tra i vivi e i morti quasi si annullassero e tutte le leggi fisiche conosciute si sovvertissero. Era credenza diffusa che gli spiriti potessero tornare in vita sulla terra per possedere i vivi, un mito che, ovviamente, terrorizzava tutti gli abitanti dei villaggi, costretti a proteggersi alla possessione degli spiriti spegnendo i camini delle loro case, rendendole buie ed inospitali, mascherandosi in modi orribili per rendere i loro corpi orribili e poco “appetitosi” agli occhi dei morti, che scappavano per lo spavento. Un’altra importante usanza di Halloween, oltre alle maschere e al divertente “dolcetto o scherzetto”, che in realtà racchiude un messaggio importante, in quanto nasce dalla richiesta dei piccoli di un pezzettino di torta dell’anima, fatta con pane e uvetta o ribes e, per ogni pezzo ricevuto, bisognava pronunciare una preghiera per un proprio caro o per quello del donatore, è la tradizione di intagliare le zucche: in origine si trattava di una rapa, modificata poi con gli anni, che racchiude la storia dell’Irlandese Jack, abile a truffare il Diavolo ma non altrettanto astuto da pensare a cosa sarebbe successo alla sua anima una volta che i suoi giorni fossero giunti al termine. Così, alla ricerca disperata di un aiuto, il Diavolo in persona lanciò a Jack un tizzone ardente che diventò poi il suo faro nell’oscurità nella ricerca, infinita, della strada verso casa.
Ebbene, in un mix di tradizioni dal sapore mistico, il tour si conclude a casa nostra, in Italia, dove la tradizione si spoglia di colori e musica e prende un tono nero e severo, come il periodo di preparazione e preghiera in suffragio dei defunti della durata di nove giorni: la cosiddetta novena dei morti, che inizia il giorno 24 ottobre. Essendo una ricorrenza molto sentita, sono tante le usanze che si possono trovare, come ad esempio un lumino acceso con pane e acqua, oppure lasciare la tavola imbandita mentre si fa visita al cimitero ai cari scomparsi dove viene celebrata una messa speciale e solitamente dedicata. Sono poi diverse le varianti che si possono incontrare ma restano tutte nel sentiero del dolore senza maschere o addolcimenti, mirato a riunire la famiglia per ricordare anche ciò che abbiamo perso. Ovviamente, i fiori sono l’elemento centrale di questa ricorrenza ed è tradizione rinnovare i decori presenti sulle tombe con mazzi composti apposta per l’occasione con un protagonista indiscusso: il crisantemo, incaricato di rendere meno severo questo giorno così cupo. Se in oriente viene visto come un fiore di buon auspicio, tanto da essere utilizzato nei matrimoni, in Italia trova il suo periodo ideale di fioritura nel giorno più doloroso del calendario ed è così che anche nei suoi petali più colorati trova una sfumatura di malinconia nel ricordare ciò che è stato e che purtroppo potrà continuare ad essere solo nei nostri ricordi. Perché, in qualche modo, siamo sempre anche ciò che abbiamo perso.